Ragazzi smarriti, adulti distratti: perché dobbiamo tornare ad essere una comunità che educa

Ragazzi smarriti, adulti distratti: perché dobbiamo tornare ad essere una comunità che educa

Negli ultimi giorni, le cronache locali ci restituiscono immagini sempre più frequenti di adolescenti protagonisti di episodi di violenza, bullismo, prevaricazione.
Una baby gang di insospettabili ruba una borsa a una coetanea. Un gruppo di ragazzi brandisce un coltellino per minacciare altri studenti durante una gita scolastica. Un quattordicenne decide di non uscire più di casa perché vittima di bullismo.
Storie che si sommano ad altre simili, e che pongono una domanda urgente: cosa sta succedendo e, soprattutto, cosa possiamo fare noi adulti?

 

Per qualcuno, forse, è sempre stato così. Ma per molti di noi – per chi lavora con i ragazzi ogni giorno, per chi crede ancora nella potenza educativa della comunità – qualcosa è andato storto.

 

Stiamo assistendo a una deriva nei valori trasmessi, o forse mai trasmessi, a questi giovani.
Ragazzi che non sanno gestire la frustrazione, che non distinguono più i confini tra giusto e sbagliato, che non comprendono le conseguenze delle proprie azioni.

L’adolescenza è sempre stata una stagione fragile, ma oggi sembra esserlo in modo più profondo, più strutturale.

E allora: cosa possiamo fare?

Possiamo (e dobbiamo) tornare ad essere una comunità educante. Una società dove “tuo figlio è anche un po’ figlio mio”, dove nessun bambino o ragazzo venga lasciato solo nel suo percorso di crescita. Perché l’educazione non è solo compito della scuola o della famiglia: è responsabilità collettiva.

 

Qualche giorno fa, ho assistito a una lite molto violenta tra due ragazzi nella mia città. E ciò che mi ha colpito più della lite in sé è stata l’indifferenza degli adulti presenti. Nessuno si è mosso, nessuno si è preoccupato di intervenire. Solo io e un’altra persona ci siamo avvicinati, pronti se necessario a chiamare le forze dell’ordine.

L’indifferenza è il primo fallimento educativo.

Come ha scritto lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet:

“L’adulto oggi sembra avere abdicato al suo ruolo guida, per paura di entrare in conflitto, per timore di essere impopolare. Ma l’educazione è fatta anche di conflitto e di presenza costante, non solo di organizzazione e performance.”

 

Viviamo in una società in cui sappiamo organizzare perfettamente il tempo dei nostri figli: danza, sport, catechismo, laboratori. Ma abbiamo perso la capacità di trascorrere tempo di qualità con loro. Quel tempo che insegna senza parlare, che guida senza impartire lezioni, e che permette ai valori di trasmettersi per osmosi, per imitazione.

 

Insegniamo le soft skills su carta, nelle scuole, nei corsi. Parliamo di empatia, collaborazione, pensiero critico. Ma poi, nella vita quotidiana, valorizziamo solo la competizione, la prestazione, l’individualismo. Spingiamo i nostri ragazzi ad essere “i migliori”, ma a volte a discapito della gentilezza, dell’ascolto, della solidarietà.

Credo profondamente nel valore degli eventi come Libro Aperto Festival

 

È per questo che oggi, più che mai, credo profondamente nel valore degli eventi come Libro Aperto Festival. Perché creano spazi di relazione, di ascolto, di riflessione condivisa. Luoghi dove ai ragazzi non si chiede di essere “i primi”, ma semplicemente di esserci. Di pensare. Di ascoltare e confrontarsi. Di scoprire che stare insieme è bello anche (e soprattutto) quando non c’è una gara da vincere.

 

Come dice lo scrittore Daniel Pennac:

“Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.”

E noi, adulti, dobbiamo riprenderci il tempo: per educare, per accompagnare, per esserci. Per seminare, anche quando non vediamo subito i frutti.


Angela Albarano