“ I Delitti Di Whitechapel“ di Guido Sgardoli e Massimo Polidoro raccontanti egregiamente dalla penna della book ambassador Giulia

“ I Delitti Di Whitechapel“ di Guido Sgardoli e Massimo Polidoro raccontanti egregiamente dalla penna della book ambassador Giulia

Giulia condivide con gli amici di Libro Aperto la sua attenta e dettagliatissima analisi del capolavoro scritto a quattro mani da Guido Sgardoli e Massimo Polidoro.

Grazie Giulia! La tua recensione è un piccolo gioiello di scrittura!

“Era da molto tempo che non gustavo le pagine di un bel giallo, uno di quelli che ti fanno dimenticare di guardare l’orologio. Quando ho saputo dell’ultimo romanzo di Guido Sgardoli, scritto a quattro mani con Massimo Polidoro, mi sono subito precipitata in libreria per acquistarlo, senza neanche conoscerne il titolo: sapevo già che mi avrebbe divertita, appassionata e interessata. E, ancora una volta, le mie aspettative non sono state deluse, ma, addirittura, superate.
I maestri ci riportano nella Londra del 1888. I delitti di Jack lo Squartatore continuano a terrorizzare i cittadini: il misterioso killer uccide le donne più disagiate nei modi più violenti, a poche notti di distanza l’una dall’altra. Scotland Yard brancola nel buio: gli inquirenti non hanno mai avuto a che fare con un caso simile - ricordiamo che Jack lo Squartatore è stato il primo serial killer della storia - e non hanno gli strumenti necessari per affrontarlo. C’è chi si propone per comunicare con le anime delle defunte, chi afferma di riuscire a catturare le ultime immagini che hanno visto semplicemente fotografandone gli occhi e poi c’è quella sciocca di Sybil, che continua a giocare con cose più grandi di lei. Non si rende conto dei pericoli che corre, girando nel labirinto di Whitechapel a interrogare gente da due soldi e a giocare alla poliziotta. Zia Elisabeth non glielo permetterebbe mai. Eppure, la voglia di rendere giustizia a sua madre le arde dentro: malgrado l’abbia abbandonata, malgrado sia diventata una senzatetto, una madre è sempre una madre.
Ma, in fondo, cosa vuoi che riesca a cavare una ragazzina da un caso su cui non riescono a fare luce neanche gli agenti di Scotland Yard? Andando in giro e appuntando su un quadernetto le testimonianze meno attendibili non si diventa dei detective. O forse sì. In un’epoca dominata dagli uomini, in cui le donne sono solo di contorno, Sybil è una figura straordinaria: forte, caparbia e non convenzionale, ci insegna che bisogna lottare per cambiare il mondo e ottenere ciò che si vuole. Scopre le ingiustizie e le sofferenze che la vita riversa su certe persone e impara a capirle e ad aiutarle, andando al di là dei luoghi comuni.

“Nelle loro vite, Sybil ritrovava la vita di Catherine e insieme sentiva che lei stessa stava cambiando, crescendo. Le pareva di capire meglio il mondo che aveva intorno e le persone che lo popolavano.”

Durante la storia, quindi, i personaggi crescono e si evolvono: la Sybil dell’epilogo è quasi un’altra persona rispetto quella della prima pagina. Come lei, anche gli altri personaggi compiono un arco di trasformazione molto evidente: un altro esempio è la cugina Harriet, che, grazie ai rimproveri e ai consigli di Sybil, riesce ad acquistare una propria personalità e a svincolarsi dai pensieri e dalle prepotenze del marito Charles. Parlando di Charles, personalmente lo trovo intrigante. È difficile empatizzare con lui: ha dei momenti di cordialità e lucidità e altri in cui sembra aver perso la testa. È ambiguo. Un predatore violento, che pretende di avere il potere supremo su tutto, a cui si contrappone Sybil. Lo riconosceremmo pure se il narratore ne parlasse implicitamente. Lo stesso vale per Sybil, Harriet, zia Elisabeth e tutti gli altri: sono unici, come unico è il loro ruolo.
Un romanzo di formazione non fa crescere solo i suoi personaggi, ma anche i suoi lettori. Sybil ci dimostra che non bisogna fidarsi delle apparenze: sì, una ragazzina può diventare una detective; e no, le donne che girano da sole per le vie di Londra dopo il tramonto non sono sempre delle poco di buono.
Da buon giallo qual è, il suo elemento principale è la confusione.

“Prima di cena cercò di riordinare le idee rileggendo gli appunti del quadernetto dall’inizio, ma ottenne soltanto di ingarbugliare ancora di più i suoi già ingarbugliati pensieri. […] sua madre era morta da un mese e l’assassino non aveva commesso altri omicidi. Che avesse smesso? Che fosse fuggito temendo di essere preso? Che fosse morto?”

Nella testa di Sybil si accalcano mille ipotesi e mille dubbi, che non fanno altro che confondere ulteriormente il lettore. Ad un certo punto, è come se ci incarnassimo in Sybil e ci sintonizzassimo sulla sua stessa lunghezza d’onda:

“Sybil si fermò. […] Sentiva gli occhi farsi gonfi di lacrime ma le ricacciò giù a forza. Era furiosa”
“Il cuore prese a rimbombarle nel torace, nella gola, nelle tempie, ovunque, come se fosse diventato enorme e liquido, un cuore che invadeva ogni anfratto del suo corpo.”

Le pagine sono un filtro che ci trasmette le emozioni e i pensieri di Sybil. Tutto, quindi, è molto realistico: sfogliando il libro il mondo raccontato da Sgardoli e Polidoro assume tridimensionalità, tanto da superare i confini spaziali e temporali. Ci ritroviamo là dentro, come se stessimo accompagnando Sybil nella sua avventura, sebbene il narratore sia onnisciente. Sentiamo e percepiamo tutto ciò che sente e percepisce lei, ed è questo lo scopo di un romanzo degno di essere chiamato così: trasportarti in un’altra realtà."


Giulia